Sogno o son desta…

Mi ritrovo spesso a leggere articoli, recensioni tra le più disparate e commentarle con amici e/o conoscenti. Vino, cibo, arte, libri…nessuna differenza.

C’è gente che paga per leggere tizio o caio, gente che paga perché tizio o caio scriva di loro, aziende che pubblicano anche le recensioni scritte dal noto tizio o dal meno famoso caio…e alle volte c’è anche un perché. Si vuole visibilità, ci si sente lusingati dal fatto che qualcuno ci riconosca e se ne parli…

Ora…forse la mia riflessione fa poco testo e proprio per questo mi sento di condividerla, ma quando si parla di un vino, quando lo si descrive ad altri e non a noi stessi, dovremo essere in grado di utilizzare termini, metafore, frasi che facilmente riconducano chi ci ascolta a ciò che stiamo degustando.

Mi sono imbattuta in questa descrizione, ovviamente eviterò di fare riferimenti all’azienda e soprattutto al tale che scrive. Per gli addetti del settore basteranno le prime parole per capire di chi si sta parlando  ”…Un XXX che satinato e felpato spuma polposamente limpido, sempre ben brioso. Una XXX di gran consistenza viticola, morbida, dalla mano enologica esecutiva di avvertita nettezza” o ancora “Il XXX di XXX pure in un’annata difficile come il 2005 si conferma fra i profumi bianchi più suadenti, floreali e speziati, fra le fragranze bianche migliori in Italia. …con la sua camomilla tremendamente uvosa. Di rango anche XXX: di speziata ciliegiosità assai intensamente viva”. O ancora ” stupenda l’intensità della sua dolcezza olfattiva, che anzitutto si gioca sul punto di tinta: viola e non nera. Ove l’occhio è viola melanzana, non ancora nerastra, lì è il punto di massima forza e profondità cromatica che un rosso può attingere. Qui il punto di massima concentrazione tannica utile a infittire la polpa e il colore, senza accendere le caffeiche chinosità gusto-olfattive del suo eccesso. Il suo profumo, il suo occhio, il suo gusto, stupendamente maturo e polposo: una mora viola allora, sfumata di gelso bluastro, soffiata di spezia e di zucchero, di vaniglia, di menta di glassa. Suadenza stupenda che si compie sul pregio dell’integrità del suo aroma: una nitidezza enologica, una novità e turgidità di gusto e d’olfatto che il suo massivo e sì imponente monte estratto, in realtà ancor frutto di fatto. Per concentrazione non disgiunta da souplesse e morbidezza…”

Forse sono io che non capisco…ma camomilla uvosa, speziata ciliegiosità, mano enologica esecutiva di avvertita nettezza…cosa vogliono dire? Un consumatore o un appassionato che vuol comprare la bottiglia di un’azienda anzichè di un’altra…in che modo traduce tutto questo?

Già si fa fatica a spiegare quando un vino è fresco, pulito, quando è più floreale che fruttato e si fa fatica a far percepire i descrittori base di un calice di vino, figuriamoci quando si descrive il NIENTE!

Eppure queste persone hanno un loro spazio, queste persone vengono pagate, cercate e non ha colpa il comunicatore di turno, quanto coloro che danno credito a chi parla di fumo, di frasi fatte o frasi dettate dal delirio di un momento orgasmico.

O forse siamo noi che non abbiamo capito niente…e sbagliato lavoro!

La prossima volta che mi verrà chiesto di descrivere un vino bianco comincerò da “voluttuosa freschezza delle prealpi circondata dal floreale turbinio di emozioni setose tipiche del vitigno (non importa quale)”. Ai rossi dedicherò “la morbida rotondità dei flanellosi tannini, arricchiti da sfumature tramontine (nuovo conio per il quale esigo il copyright) delle calde serate di primavera (ovvio, anche in alaska) arricchite e impreziosite da un momento di delirante passione voluta fortemente dal sogno ancestrale del cantiniere/enologo/produttore”.

E guai a chi mi chiederà di spiegare le mie vinose descrizioni…perché è tutto chiaro, no?!

 

 

Articolo a cura di Andrea Valentinuzzi

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